Che Vincenzo Pardini, nato e cresciuto nel borgo garfagnino di Fabbriche di Vergemoli, sia uno dei più rispettati scrittori di narrativa contemporanea in Italia è ormai cosa nota, ma un altro conto è poter assistere ad una delle sue rarissime presentazioni, sporadiche come la sua voglia di mettersi sotto i riflettori.
Se Pardini esce allo scoperto è sempre un grande evento, e l’occasione buona è avvenuta nel pomeriggio di oggi, alle 17:30, presso la splendida cornice della sede della Fondazione Ricci a Barga.
Motivo? La presentazione del suo ultimo libro, in realtà già uscito nel 2021, “L’Accecatore”: un’opera tenuta nel cassetto per anni e proposta al grande pubblico solo pochi mesi fa. La conferenza si è tenuta all’interno della più vasta rassegna degli “Itinerari Letterari a Barga”, che ospita scrittori e saggisti presso Villa Ricci con vari appuntamenti che occupano tutta l’estate e termineranno proprio domani, con la presentazione di “Storie dell’altro millennio” di Giovanna Pellegrini.
Tornando ad oggi, ad affiancare Pardini, oltre alla presidentessa della fondazione Cristiana Ricci, ci hanno pensato i professori e scrittori Paolo Giannotti e Alessandro Raffi, arrivati da Massa per l’occasione. Entrambi, attraverso i rispettivi ruoli, più presentatore Giannotti, più lettore il secondo, hanno saputo intrattenere il numeroso pubblico raccontando, spiegando ed evocando le atmosfere de L’Accecatore: un racconto cupo, che nonostante sia stato scritto quasi dieci anni fa, riporta alla memoria le paranoie collettive e gli atteggiamenti ferini di molti essere umani e media durante il punto più nero del periodo pandemico.
“Vincenzo – racconta Giannotti – è riuscito nel corso dei decenni ad affrontare più generi e tematiche: dalle ambientazioni western ai romanzi storici fino alla narrativa d’avventura. Eppure, con quest’ultimo libro è riuscito a superare sé stesso, a stupire ancora. È un’opera visionaria, dai toni rivelatori e persino apocalittici. In poche parole, Pardini è riuscito con una sensibilità e, allo stesso tempo, una durezza unica, a raccontarci un possibile, o probabile, percorso della nostra società. È quasi come se avesse il dono di vedere, o sentire, gli eventi che devono ancora arrivare: un qualcosa di metafisico, che riallaccia Vincenzo ad altri grandi della letteratura, come Jack London e Maupassant. Attraverso un’atmosfera cupa riesce a scandagliare l’animo umano, e mettere sul piedistallo le fragilità dell’individuo e le sue relazioni col mondo e con gli altri”.
Ma di cosa parla “L’Accecatore”? Ci troviamo in un paese imprecisato tra boschi e montagne, che tanto ricorda la Garfagnana, ed è qui che viene rinvenuto il corpo di un postino con gli occhi strappati: sembra un caso isolato, ma le vittime senza bulbi inizieranno ad aumentare, e i comportamenti delle persone per “difendersi”, e la loro paura, si espanderanno a macchia d’olio fino a raggiungere ogni parte del globo, e diventando premonizione per una prossima catastrofe.
Un racconto di terrore, dunque, imperniato di paura ed eventi catastrofici: una distopia, come piace chiamarla oggi, in cui, come sottolineato da Raffi, ciò che risalta è il comportamento schizofrenico dei nostri simili.
“L’Accecatore ha una miriade di piani di lettura e significato – spiega Raffi – ma se dovessimo descriverlo in breve potremmo dire che ci troviamo davanti ad un compendio sulla fenomenologia dell’accecamento spirituale: gli essere umani reagiscono quasi sempre in modi violenti e irrazionali non appena entro in gioco eventi avversi”.
Letture, spiegazioni…l’incontro tra mattatori e pubblico, assorto, continua così per buona parte della sua durata, ma c’è anche spazio per argomenti più “pratici”, come le varie peripezie necessarie per la pubblicazione, e aspetti del mondo dell’editoria contemporanea, colpevole, secondo Pardini, Giannotti e Raffi, di produrre, specialmente nel grande circuito, una letteratura di scarso valore e totalmente inadatta a lasciare un segno nel futuro, scartando a prescindere possibili capolavori perché troppo “difficili” o di scarso appeal.
“È un libro che ha faticato tantissimo per essere pubblicato – continua Giannotti – esempio lampante dei problemi ormai atavici che sta affrontando la grande editoria. Si punta tutto su prodotti semplici, bocciando grandi opere perché portatrici di tematiche e stili troppo difficili. I libri belli al giorno d’oggi si sprecano, ma restano le circuito delle piccole case editrici, e non riescono quasi mai a divenire di interesse nazionale e internazionale.
C’è stato un momento in cui ho pensato di smettere di scrivere – chiosa Pardini – o almeno, di pubblicare: scriverò sempre per me. Eppure, il manoscritto che avevo terminato cominciò ad avere consensi tra le persone a me più vicine, e decisi dunque di proporlo alle case editrici. Mondadori, Einaudi, Marsilio: mi hanno scartato tutti, per i più svariati e incredibili motivi. Sono troppo vecchio, scrivo con troppi congiuntivi – ride – non avrebbe un successo così grande. Ma di cosa stiamo parlando? Siamo di fronte ad una decadenza culturale totale. Ormai siamo sommersi da libricini e scrittori che scrivono solo per forgiarsi del titolo di “Scrittore”. Sono pochi quelli che hanno ancora qualcosa di davvero importante da dire”.
Contro l’esibizione di sé a tutti i costi, Pardini perora la sua idea di scrittore: l’esatto contrario di uno snob, che si isola dal mondo perché troppo superiore, ma una figura che soffre, che sente il peso delle parole, e tutto ciò che dice non è improntato all’idea di successo ma di sacrificio.
Fossero tutte così le presentazioni…